Per arrivare a muovere le masse all’interno di una Parigi fasulla che mescola la zona centrale, la torre Eiffel e la peggior edilizia di massa cinese (Sky City), lavorando a metà tra l’assalto ai simboli archetipici, le ragazze del nuoto sincronizzato dei musical con Esther Williams e le geometrie umane dei videoclip di elettronica di Michel Gondry, ci vogliono anni di lavoro e cesello su un immaginario preciso. Per avere uno sguardo chiaro come quello che Romain Gavras sfoggia nel video musicale di Gosh di Jamie XX, bisogna padroneggiare perfettamente quell’universo visivo, quei riferimenti e saper filmare gli spazi aperti al pari di quelli chiusi. Che poi sono esattamente le doti, guarda caso, che servono per realizzare un’epica shakespeariana della metropoli moderna, un Signore Degli Anelli che contrappone periferia arrabbiata con bandana sulla bocca e tute, a poliziotti in assetto antisommossa, ovvero il prossimo film di Romain Gavras: Athena, che sarà su Netflix dal 23 Settembre. L’apoteosi della sua carriera, pura rabbia messa su film.
Un conflitto su scala mai vista, girato come fosse un video musicale, tutto piani sequenza e uso creativo dei droni all’interno di un quartiere periferico (per l’appunto Athena, a Parigi). Perché se c’è una cosa che Gavras ha affermato tramite le immagini per tutta la sua carriera è che l’aggressività e brutalità architettonica di quei luoghi lì, quei palazzi e quelle aree, imposta dalla società a chi ha meno, ha finito per trasferirsi addosso alle persone che li abitano. Tramite l’edilizia è stata creata una giovane generazione arrabbiata che adesso si stringe attorno a quei palazzi e trae da loro la propria forza ribelle.
Quindi se c’è un oggetto che più di tutti rappresenta lo stile di Romain Gavras è la molotov. Un feticcio che ricorreva nei suoi video musicali e poi è entrato di diritto nei film. Il simbolo perfetto di un artista che ha fondato un’estetica contemporanea intorno alla rabbia dei marginali, le periferie, l’edilizia popolare e uno stile d’abbigliamento che non imita mai la moda ufficiale ma è composto da elementi aggressivi, tute, catene, giubbotti bomber e bandane. Kombat Banlieue contemporaneo che anima gli spazi urbani in modi al tempo stesso familiari e nuovi. Gavras non fonda una mitologia nuova intorno alla periferia, ma eleva quella che già esiste, la realtà dello streetwear, delle movenze e degli atteggiamenti da strada, fondendolo con i palazzi, le aree verdi tenute male, i graffiti sui muri, le aree vuote senza un perché e le baracche. Tutto contribuisce a creare la rabbia.
Nel suo primo video musicale c’era già tutto, I Believe dei Simian Mobile Disco, in cui un gruppo di ragazzi con volti, corpi e abbigliamento da periferia fa sfoggio di sé, del proprio swag e dei luoghi che abita come fossero proprietari di chissà quali ambienti raffinati e desiderabili. Quel mondo è loro, li rappresenta e loro lo rappresentano. Sarà però qualche anno dopo con Stress dei Justice che si affaccia con chiarezza la capacità di Gavras di incastrare i personaggi in un paesaggio. In quel video musicale fatto di gang, case popolari, giubbotti tutti uguali con logo sulla schiena, cattiveria, vandalismo, botte, palazzoni e ragazzetti arroganti, fa fare un salto in avanti a L’odio di Kassovitz, perché chi viene dalla banlieue non ha più bisogno di sembrare vittima ma contrattacca senza un vero perché. E già lì, 14 anni fa, c’è un’inquadratura che ritorna in Athena, pazzesca, delle auto in corsa viste dal lato, con un drone ad alta velocità.
I corpi, la rabbia e l’ingenuità dei ragazzi tra i 13 e i 18 anni sono la vera passione di Gavras. Nel suo immaginario sono sempre persone già formate (spesso vestiti tutti alla stessa maniera, come con una divisa), dotate di desideri e volontà di ferro, un’organizzazione quasi militare e nessun limite in quel che sono disposti a fare. Forse perché anche lui non era diverso. Ce ne vuole infatti per fondare a 13 anni un collettivo, Kourtrajmé (verlan francese gergale per courtmetrage), con un paio di amici e mantenerlo così attivo fino ai 40 anni. Ancora Athena infatti è realizzato con altri membri di Kourtrajmé (Lady Lj alla sceneggiatura) e I miserabili, film di due anni fa tutto banlieue e resistenza, era un altro esempio del collettivo (diretto da Lady Lj, prodotto da Gavras).
Con una conoscenza simile i ragazzi li puoi anche far esplodere, come nel controverso video musicale Born Free di M.I.A., in cui alle angherie della polizia in tenuta antisommossa nei confronti di persone inermi sono i ragazzini a rispondere, scatenando una guerra nel deserto sanguinosa e senza sconti per chi guarda, pensata e girata per disturbare con le sue parti umane che esplodono a favore di obiettivo. Manca la città, quindi manca un pezzo, e si sente. Born Free ha grande cattiveria politica ma pochissimo stile.
Sarà lo stesso in un altro video per M.I.A., quello di Bad Girls, girato anch’esso lontano dalle metropoli, che gioca con il mondo arabo con ironia, posizionando auto impolverate degli anni ‘90 nel deserto su strisce di asfalto, e donne che si atteggiano come fanno di solito gli uomini, possiedono gli oggetti tipici del potere fallico ed esibiscono un’ironica posa di dominio su auto che si muovono su due ruote. Puro showcase di abilità da quartierino, sgommate ed esibizione. Gente che il mondo se lo vuole prendere. Ma che montaggio e che inquadrature, di nuovo, di drone! Così cruciale è per i suoi riferimenti visivi il mondo dei ragazzini arrabbiati delle periferie che Gavras riesce ad infilarli anche nei suoi spot pubblicitari, come in quello per la campagna Adidas Is All In, in cui alle grandi figure dello sport affianca l’ardore dei suoi ragazzi, o quello di Powerade in cui la grinta di un pugile ci viene mostrata tutta radicata in un’infanzia di periferia e botte.
Madre produttrice cinematografica e padre idolo del cinema arrabbiato anni ‘70 e ‘80 (Costa Gavras, pseudonimo di Kostantinos Gavras), Romain Gavras è cresciuto in una famiglia con tutti i riferimenti giusti, in cui la lotta era argomento di discussione a tavola. Tradurla in una chiave estetica chiara e completa è stata quindi una conquista arrivata per davvero con No Church In The Wild. È il 2012 e quel video del brano di Jay-Z e Kanye West con Frank Ocean è la prova generale per Athena. Uno scontro tra polizia e ragazzi arrabbiati lungo quasi 5 minuti, montato scegliendo le parti essenziali e ambientato non più nei deserti ma finalmente per le strade. Architettura da centro Parigi, strade pulite da infangare con i lacrimogeni, auto costose da ribaltare, vetrine di negozi di livello distrutte mentre dietro passa la polizia a cavallo che carica come in una lotta medievale. Dopo l’esperimento di Stress nasce qui davvero il Kombat Banlieue, quell’idea per la quale il movimento della protesta e della lotta, le scelte dell’abbigliamento dei ribelli sia tutto stile, sia l’estetica cruciale dei nostri anni e che lo stile sia una forma di potere. I suoi ribelli non sono dei disperati perché non lo sembrano e quell’abbigliamento da poco diventa una divisa.
Intanto Our Day Will Come era già uscito, debutto nel lungometraggio, storia folle di ribellioni assurde. Un ragazzo e un adulto rossi di capelli sì ribellano ad un mondo che li emargina per questo. Non ha nessun senso (e non è indimenticabile) ma non a caso si accende quando la follia combattiva si impadronisce delle immagini e qualcuno dà fuoco ad un’auto. Non andrà molto meglio The World Is Yours, secondo film, un po’ più compiuto, una commedia con gangster che però non fa davvero ridere né è davvero cinema criminale Lì però, di nuovo, c’è un’inquadratura di quelle che in pochi possono vantare, la prima, in cui un gruppo di uomini è immobile in uno scenario di periferia, fermi in tensione con un martellone pronti a sfondare qualcosa e in attesa del passaggio di un treno della metropolitana sopraelevata per farlo senza essere sentiti. Streetwear, desolazione, volti maghrebini, cattiveria e un’impennata di suono per l’arrivo del vagone che corrisponde esattamente con l’innesco dell’azione furiosa: un assalto per liberare un cane (!).
Questo è il percorso che porta a Gosh, prima di Athena, la sua opera più compiuta, un musical elettronico dentro la più finta delle città e al tempo stesso la più popolare e aggressiva delle periferie del mondo. Masse con abiti uguali ma anche volti truccati uguali e una maniera pazzesca di incastrare le persone nelle architetture. Ci sono almeno un paio di sequenze perfette (che non a caso prevedono un drone), quella dal volto del protagonista del video, all’indietro fino a renderlo un puntino bianco in una selva di finestre da palazzone, e poi l’altra, quella che da sola definisce un’intera carriera, in cui un gruppo di persone si muove disegnando un una spirale alla perfezione e il movimento di drone ci mostra che sono dentro la torre Eiffel (o meglio la sua replica). Le persone che assaltano i luoghi cardine delle città e li fanno loro attraverso il movimento, occupandoli con la grazia del ballo coordinato e lo stile dell’abbigliamento ma un fare che risulta sempre aggressivo.
In Gosh il Kombat Banlieue non ha molotov e scontri ma la coreografia come arma di appropriazione degli spazi, in Athena invece i palazzi diventano torri, i ponti diventano mura di una città medievale, i vari livelli delle zone verdi sono caverne e vie di fuga. In una regressione brutale la periferia diventa uno spazio pre-civiltà, roccaforte per difendersi e contrattaccare. Quando al termine del primo furioso piano sequenza di 10 minuti, nel quale i ribelli assaltano una caserma della polizia, rubano le armi e tornano al quartiere per asseragliarsi, il drone li riprende con un movimento all’indietro che allarga la prospettiva e li incastra come signori feudatari a guardia del loro impero (e compare il titolo ATHENA), lì è evidente come Romain Gavras abbia capito, e sappia mostrare senza parole, l’essenza più pura dell’audiovisivo: comprimere un concetto politico in una allegoria visiva fondata sullo stile.