Traduzioni dall'italiano da riconsegnare gli 11 (primo testo), 18 (secondo testo) e 25 marzo (terzo testo).
Testo n. 1
Lingua francese I, prova scritta del 19 maggio 2013
Traduzione dall'italiano
Orvieto, 16 ottobre
Cara Mathilda,
l'autunno è ormai arrivato, nelle vigne l'uva è quasi pronta e la mattina, quando apro le finestre, vedo soltanto la nebbia. È biancastra, spessa, con la sua coltre copre ogni cosa, annulla i rumori. Amo l'autunno più di ogni altra stagione, amo i suoi colori, i suoi odori, amo il fatto che si torna a vivere all'interno, che si rientra nel raccoglimento. L'ultima volta che sei venuta a trovarmi era proprio ottobre inoltrato. Conservo ancora una foto di noi due vicino alla stufa, l'ho trovata qualche giorno fa in un libro. L'ho guardata e ho pensato che in fondo abbiamo la stessa espressione di quando ci siamo conosciute. Quanto tempo è trascorso? Quindici anni, forse anche di più. E quante volte ci siamo viste in questi anni? Pochissime. Appena tre o quattro, da quando tu hai lasciato l'Italia e sei tornata in Africa. Era nata la tua prima figlia e, giustamente, volevi farla crescere in Africa. In questo lungo periodo, il nostro legame è rimasto intatto, forte e allegro come il primo giorno. L'amicizia è uno dei sentimenti più belli da vivere perché dà ricchezza, emozioni, complicità e perché è assolutamente gratuita.
Da Susanna TAMARO, Cara Mathilda. Lettere a un'amica, 1997 (inizio del romanzo).
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Testo n. 2
Lingua francese I, prova scritta del 13 maggio 2013
Traduzione dall'italiano
Era la prima volta che lasciavo la mia città. Sembrava schiacciarsi su se stessa e contro i monti, diventava una striscia color avorio e argilla man mano che la nave si allontanava da terra: non distinguevo più il colonnato della mia vecchia biblioteca, la facciata della basilica, le arcate del circo, niente dei cunicoli intorno al porto, delle botteghe che si affacciano su di esso, del mercato coperto a tre piani. Soltanto il profili delle insulae [1] più alte, ma da noi non erano né numerose né alte come a Roma, semplici dentellature in quella striscia avorio-argilla che era ormai la mia città. Se mi dispiaceva lasciarla...? Non lo so neppure io, avevo deciso di farlo, ma non sempre siamo coerenti con le nostre scelte, voglio dire, non sempre la nostra volontà va di pari passo con i nostri sentimenti... Mi dispiaceva vedermela lì davanti schiacciarsi e rimpicciolirsi sempre di più, Genova, la città dove ero nato e dove avevo passato sino a quel momento tutta la mia vita, e che mi era sempre sembrata importante e in fondo non proprio brutta. Ma ora lì dal mare, che quasi spariva... Non facciamola lunga, non è che mi sia messo a piangere o a sospirare: soltanto un po' di nodo alla gola, un'ansia indefinibile, che è subito passata.
Da Giuseppe CONTE, L'impero e l'incanto, Milano, 1995, p. 24.
[1] insulae: pâtés (m. pl.) de maisons. Il romanzo è ambientato nel IV sec. d. C.
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Testo n. 3
Lingua francese I, prova scritta del 25 luglio 2013
Genova come una nave
La prima cosa che ho fatto, arrivando a Genova, è stata quella di andare a cercare il signor Grimaldi. Genova è piena di Grimaldi, come Milano di Bianchi e di Rossi, e perciò questo Antonio Grimaldi, di cui parlo, è solo uno dei tantissimi che abitano in questa antica città. È ragioniere e, indicazione quasi superflua, lavora in una compagnia di navigazione.
Non ho telefonato, sono andata direttamente al suo ufficio, situato al secondo piano di un vecchio palazzo, in una strada un po' scura, forse vicina al porto.
Le luci non erano ancora accese, e la grande stanza in cui sono entrata, meravigliandomi della completa assenza di custodi o fattorini, era immersa in una confortante semioscurità, se si pensa che fuori, alle sette di sera, l'aria era ancora calda come al mattino, e luci e colori di una bellezza insopportabile si contendevano il dominio di un cielo dieci volte grande del cielo di Milano, portato a spalle, come una bandiera, da un esercito di verdi colline.
Bene. Quasi non pensavo più al signor Grimaldi, e al compito quasi astratto che mi ero prefissa (astratto, per lo meno, in un giorno d'estate): disegnare, valendomi di una serie di notizie, di dati, più che di impressioni, un'immagine intima della città, quasi una fotografia...
Da Anna Maria Ortese, La Lente scura, Milano 2004, p. 325.