LEZIONE 9 (14 marzo 2016)
LA DATAZIONE NEI DOCUMENTI MEDIEVALI - NOZIONI DI CRONOLOGIA
Cronologia: disciplina tradizionalmente considerata ausiliaria della storia (come la sigillografia o l’araldica).
Datazione: uno dei caratteri intrinseci (= delle forme di struttura del testo dei documenti) è la datatio topica e cronica, carattere importante per il suo rilievo giuridico e anche dal punto di vista storico. L’importanza della datazione nei documenti medievali era stata messa in rilievo già dalle disposizioni legislative dell’imperatore Costantino, il quale aveva disposto che i documenti emanati dalla cancelleria imperiale dovessero avere una indicazione di tipo cronologico (la datazione). Sebbene ci fosse l’obbligo di porre la datazione nei documenti, ci si attenne a questa pratica solo in parte.
L'interpretazione della datatio dei documenti diplomatistici può non essere del tutto banale, perché nella datazione dei documenti medievali spesso si incorse in molte incongruenze ed errori. Errori dovuti non per forza a volontà di ingannare: potevano esserci delle sviste e dei banali lapsus (come la dimenticanza di una unità in certi numeri romani, es. IIII che viene erroneamente scritto III). Nel corso del tempo poi si alternarono usi diversi per l’indicazione del tempo che variavano sia da epoca a epoca che da zona a zona. La datazione si compone di diversi elementi (giorno, mese, anno) e soprattutto l'indicazione dell’anno seguiva usi diversi. Ulteriore elemento che poteva creare confusione e incertezza era la doppia realtà del momento dell’azione giuridica e del momento della documentazione (messa per iscritto dell'azione giuridica stessa), che potevano non essere contemporanei.
Comunque tutti questi usi diversi per indicare la data si rifanno al calendario. Il calendario è stato istituito per misurare il tempo della vita dell’uomo con le rivoluzioni dei corpi celesti. Il calendario che noi usiamo risale all’epoca romana e in particolare a quello istituito da Giulio Cesare (calendario giuliano). Prima c’era stato il calendario di Romolo, in cui il calendario aveva 10 mesi, poi c’è stato il calendario di Numa Pompilio che aveva portato i mesi a 12. Il calendario giuliano aveva mantenuto i 12 mesi, ma aveva portato l’anno da 355 a 365 giorni e inoltre aveva stabilito l’anno bisestile (istituito perché il tempo impiegato dalla terra per girare intorno al sole è di 365 giorni e quasi 6 ore, e quindi in 4 anni si forma 1 giorno). Ma questo *quasi* 6 ore in più formò col corso del tempo un certo numero di giorni: durante il Concilio di Nicea (325 d.C.), quando si trattò di fissare la data mobile della Pasqua (che cade nella prima domenica dopo il plenilunio, che cade nell’equinozio di primavera o subito dopo), ci si accorse che l’equinozio di primavera in realtà era retrocesso dal 25 al 21 marzo, e lì fu fissato. Ma ci si accorse anche che continuava a retrocedere (proprio per quella manciata di minuti in meno anno dopo anno) e durante tutto il medioevo vi fu un lungo dibattito per risolvere questo problema, in cui intervennero diverse figure di rilievo (Bacone, Grossatesta, papi, studiosi, ecc.). La soluzione arrivò con Gregorio XI e la 'riforma gregoriana', proposta durante il concilio di Trento e attuata nel 1582. In quell'anno vennero tolti dieci giorni al mese di ottobre (al 4 ottobre 1582 seguì il 15 ottobre 1582) e si stabilì che gli anni secolari fossero bisestili solo se divisibili per 400 (quindi il 2000 è stato un anno bisestile, ma non lo sarà invece il 2100).
La datazione cronica che troviamo nei documenti solitamente indica giorno, mese e anno, secondo diversi sistemi (ad esempio l’era cristiana o altre ere civili per l’anno).
Ci sono tre modi possibili con cui indicare il giorno del mese: la maniera romana, la consuetudo Bononiensis e la numerazione progressiva dei giorni all’interno del mese (la stessa che usiamo noi). La maniera romana consiste nel fissare dei punti di riferimento all’interno del mese: le calende (il primo di ogni mese), le none (il 5 di ogni mese / il 7 per marzo, maggio, giugno e ottobre) e le idi (il 13 di ogni mese / il 15 per marzo, maggio, giugno e ottobre). Per indicare la posizione del giorno all’interno del mese si prende come punto di riferimento quello successivo, ad esempio oggi 14 marzo è il giorno precedente alle idi di marzo e quindi diremmo iride idus martii, ieri (13 marzo) avremmo scritto: die tertio idus martii. Per il giorno si usa il caso ablativo del numero ordinale (es. die quinto) e all’accusativo la partizione di riferimento all’interno del mese (calendas, idus, nonas) e genitivo per il nome del mese. La consueto Bononiensis è così chiamata da Rolandino de' Passegeri nel suo manuale (Ars notariae) ad uso dei notai, ma si tratta di un sistema che in realtà è largamente usato anche al di fuori di Bologna. Consiste nel dividere i mesi a metà: 14+14 o 15+14 (per febbraio), 15+15 (i mesi di 30 giorni), 16+15 (i mesi di 31 giorni). La prima metà del mese si chiama mensis intrans o mensis ingrediens (entrante), mentre la seconda metà del mese si chiama mensis exiens o mensis egrediens (mese uscente). I giorni della prima metà del mese vengono numerati progressivamente, mentre i giorni della seconda metà si numerano sempre progressivamente ma dal fondo. Quindi l’ultimo giorno del mese si chiama: die ultimo exeunte mense…, il penultimo: secundo exeunte mense, il terzultimo: die tertio exeunte mense. Si usa il caso ablativo assoluto: die + primo/secundo/… + entrante/egrediente/… + mense + … (oggi sarebbe: die decimo quarto intrante mense martio; il giorno di Pasqua, 27 marzo: die quinto exeunte mense martio).
[Esempi nelle tre forme:
15 febbraio: die quintodecimo calendas martii (in un normale mese di febbraio da 28 giorni); die quintodecimo intrante februario (quest’anno che è bisestile) altrimenti (in un anno normale, con febbraio da 28 giorni) die decimoquarto exeunte februario; die decimoquinto mensis februarii.
16 novembre: die decimosexto calendas decembris; die decimoquinto exeunte mense novembris; die decimosexto mensis novembris.
23 agosto: die decimo calendas septembris; die nono exeunte mense augusti; die vigesimotertio mensis augusti.
20 febbraio (in un mese di 28 giorni): die decimo calendas martii; die nono egrediente/exeunte mense februarii/februario; die vigesimo mensis februarii.
13 novembre: idibus novembris; die decimotertio intrante mense novembris; die decimotertio mensis novembris.
2 agosto: die quarto nonas augusti; die secundo intrante mense augusto; die secundo augusti.]
L’indicazione del giorno della settimana nei documenti medievali è del tutto opzionale. Si possono trovare due usi: quello romano-pagano e quello ebraico-cristiano. Nel sistema romano (elenco dal lunedì alla domenica): dies Lunae, dies Martis, dies Mercurii, dies Iovis, dies Veneris, dies Saturni, dies Solis. Nel sistema cristiano: feria secunda, feria tertia, feria quarta, feria quinta, feria sexta, dies sabbati, dies dominica. Può capitare che i due usi vengano mescolati, usando ad esempio dal lunedì al venerdì il sistema romano e per il sabato e la domenica quello cristiano.
Può capitare che il giorno sia indicato attraverso la festività liturgica che si celebra in quella data: Pasqua, Natale, Pentecoste, il giorno di san Giorgio, il giorno di santo Stefano. A volte non si usa nemmeno la menzione esplicita della festività del giorno ma con la menzione dell’antifona cantata nelle celebrazioni liturgiche di quella determinata data. Questo tipo di indicazione non si trova tanto nella datatio del documento, quanto invece nella dispositio quando sono indicate le scadenze di alcuni pagamenti, perché la misurazione del tempo per l’uomo medievale (soprattutto se illetterato) avveniva più facilmente sulla base dell’anno liturgico piuttosto che basandosi sul calendario solare.
L’anno in epoca romana era indicato attraverso il consolato, essendo una carica annuale (quindi: sotto il consolato di x e y). Inizia la confusione quando l’Impero si divide tra oriente e occidente e poi con il declino dell’Impero romano d’Occidente. Dopo che furono in carica gli ultimi consoli Decio Paolino Iunior (nel 534 d.C. a occidente) e Basilio Iunior (nel 541 d.C. in oriente) si iniziò a indicare gli anni sulla base del post consolato, ad esempio: tre anni dopo il consolato di Decio Paolino. A questa prassi pose fine l’imperatore d’Oriente Giustino II che ripristinò il consolato divenendo console lui stesso e da quel momento gli anni si iniziarono a indicare come anni di consolato, ma anche anni di impero. Questo sistema di conteggio degli anni di impero perdurò lungo tutto l’alto medioevo, con tutte le confusioni che potevano derivare quando nella stessa persona si sommavano cariche diverse, per esempio lo stesso Carlo Magno era re dei Franchi dal 768, ma re d’Italia dal 774 e imperatore dall’anno 800.
L’abitudine di indicare gli anni partendo dall’era cristiana, interrompendo o affiancando questa al sistema degli anni di regno, cominciò soprattutto con gli ultimi carolingi, con la disgregazione del Sacro Romano Impero. Nei documenti pontifici si indicano gli anni di pontificato a partire dal 781 d.C. con papa Adriano I, a volte si ha una indicazione del tutto generica e retorica, come regnante domino nostro Iesu Christo, e anche con l’indicazione degli anni di impero fino al XI secolo, poi rimane solo l’indicazione degli anni di pontificato (un modo per non riconoscere l’autorità temporale dell’imperatore). A partire dall’XI secolo, sia nella cancelleria pontificia sia nella cancelleria imperiale, si comincia a diffondere in modo forte l’indicazione degli anni secondo l’era cristiana (dalla nascita di Cristo), che non va a sostituire quella degli anni di pontificato o di regno, ma vi si va ad affiancare (esempio i due diplomi DOC. 29a e 30a).
Indizione: un’altra indicazione diffusissima che noi troviamo nella datazione dei documenti medievali e che si accompagna, senza sostituirla in nessun modo, alla indicazione dell’anno. Possiamo trovare la numerazione da indizione prima a decimaquinta. Abitudine risalente al IV secolo e all’Egitto, riferita a cicli di imposizioni tributarie, consiste nel dividere il corso degli anni in cicli indizionali di quindici anni. Per questo motivo dalla sola indizione non si può risalire a un anno preciso. Per capire a quale indizione corrisponde un determinato anno si somma a questo 3 (perché c’è una sfasatura tra il ciclo indizionale e l’anno 0) e si divide per 15, non si considera il risultato ma si guarda solo al resto che indica l'indizione (ad esempio il 2016: indizione nona), se il resto è zero vuol dire che ci si trova nella quindicesima indizione. Un problema nell’interpretazione dell’anno, in cui ci sia l’indicazione dell’anno e dell’indizione, è che l’anno indizionale non iniziava nello stesso giorno dell’anno solare, cioè il primo gennaio. DOC. 36 bis: sono illustrati i vari inizi dell’anno indizionale, ad esempio l’indizione greca l iniziava il primo settembre, oppure iniziava l’otto settembre nel modo senese, diffuse sono l’indizione bedana (24 settembre) e quella romana (può iniziare con il giorno di Natale o con il primo gennaio).
La numerazione degli anni dalla nascita di Cristo è il sistema che si afferma forse con maggiore ritardo nei documenti medievali: l'uso inizia a generalizzarsi dall'XI secolo. Questo computo degli anni risale al monaco scita Dionigi il Piccolo, il quale nel VI secolo aveva calcolato la nascita di Cristo 753 anni dalla fondazione di Roma (in realtà 3-4 ani prima). Questo uso aveva attecchito prima in ambito letterario (nelle cronache), piuttosto che nei documenti. Nei documenti lo troviamo per la prima volta nella cancelleria di Lotario (IX secolo, 840 d.C.) proprio per far fronte ai problemi derivanti dall'uso del computo degli anni come anni dell'Impero o del regno a seguito della frammentazione dell’impero carolingio.
Uno dei problemi nell’indicazione degli anni partendo dalla nascita di Cristo è data proprio dal quando si decide di far iniziare l’anno. L’inizio dell’anno cristiano (circoncisione di Cristo) in corrispondenza dell’anno solare (primo gennaio) è la prassi che si afferma più tardi, addirittura in piena età moderna. Uno dei più diffusi, proprio per il largo culto che c’era della Madonna, era lo stile dell’incarnazione, per cui l’anno comincerebbe nove mesi prima della nascita di Cristo: 25 marzo (ciò significa ad esempio che il 2016, ad oggi 14 marzo, dovrebbe ancora cominciare). Questo secondo lo stile dell’incarnazione fiorentino, infatti l’indicazione dell’inizio dell'anno secondo l'incarnazione conosce due distinti stili: quello fiorentino e quello pisano. Quello fiorentino fa iniziare l’anno il 25 marzo, in ritardo di 2 mesi e 25 giorni; quello pisano lo fa iniziare lo stesso 25 marzo, ma in anticipo (quindi tra 10 giorni noi entreremmo nel 2017). Ci sono delle fasi in cui la data è indicata secondo lo stile dell’incarnazione pisano anche nella cancelleria pontificia, per cui non è un uso strettamente dell’area di Pisa. Un altro stile, seguito soprattutto nella documentazione francese, è lo stile della Pasqua (fa iniziare l’anno nel giorno di Pasqua) e quindi produce anni di lunghezza diseguale. Gli scrittori di documenti francesi erano consapevoli dell’originalità di questo sistema, tant’è che alcune volte la datazione del documento secondo lo stile della Pasqua era accompagnata anche dalla scritta more gallico. Un altro stile abbastanza diffuso è quello veneto, il quale fa iniziare l’anno il primo marzo, con un ritardo di due mesi, in corrispondenza con il calendario di Romolo (di 10 mesi), ed è l’uso della cancelleria del doge di Venezia. Un altro stile è quello bizantino, tipico dei documenti di area greca, in cui l’anno inizia il primo di settembre (in corrispondenza con il ciclo indizionale greco) in anticipo (quindi il 2017 inizierebbe il primo settembre di quest’anno). Infine molto diffuso sia nella documentazione pubblica che in quella privata è lo stile della natività, che fa iniziare l’anno il 25 dicembre, quindi con una settimana circa di anticipo rispetto all’uso contemporaneo. Lo stile della circoncisione (primo gennaio) è quello che si afferma più tardi, in piena età moderna, in Francia nel XVI secolo, in Italia due secoli dopo.
Gli anni si possono calcolare anche secondo ere religiose e civili diverse da quella che parte dalla nascita di Cristo. Tra le prime c’è l'era ab origine mundi, usata nelle cronache più che nei documenti. Essa fa iniziare gli anni dal presunto anno della creazione del mondo e quindi con diverse date, la più diffusa è quella bizantina (primo settembre del 5509 a.C.). Un’altra era molto comune è l’era maomettana che inizia con la fuga di Maometto a La Mecca (622), ma dobbiamo considerare che il calendario musulmano è lunare, con i mesi che contano 28 giorni, e quindi anni più brevi. Ere civili sono quelle dalla fondazione di Roma (ad urbe condita: 753 a.C.), l’era del consolato e del post consolato; l’era fascista (dopo il 1922 si accompagna alla data il numero di era fascista).
Uno dei problemi nell’interpretazione della data può partire dal fatto che il momento dell'azione giuridica e quello della scrittura del documento possono non necessariamente coincidere. A riguardo la teoria si dimostrava molto chiara, ad esempio l’anonimo autore di un formulario del XIV secolo di esempi e norme per la stesura dei documenti (fotocopia 36bis) illustra la differenza tra datum (momento della documentazione) e actum (momento dell’azione giuridica). Datum si riferisce solo al momento in cui viene scritta e consegnata la lettera; invece actum riguarda il momento in cui sono fatte le cose a proposito delle quali viene scritta la lettera, come nei contratti. A questa disposizioni teoriche precise, nella pratica ci si è attenuti in modo occasionale. Molte volte il termine datum introduce la datazione cronica, mentre actum introduce la datazione topica. Con Federico I Barbarossa si stabilizza una nuova formulazione ancora dei due elementi, in cui il primo (actum) introduce l’anno e l’indizione, mentre l’altro (datum) il giorno e il mese.
Uno strumento che può aiutare ad orientarci nella cronologia: Cappelli, Cronologia, cronografia e calendario perpetuo.