LEZIONI 14 e 15 (11 e 15 aprile 2016)
STORIA DEL NOTARIATO
Il notaio di OGGI è un libero professionista che esercita una funzione pubblica; pertanto non ha, con lo Stato, vincoli economici né burocratici (non è un dipendente statale). Egli dà certezza, autentica, i negozi tra privati, attribuisce ai documenti che emana la pubblica fede che, nell’ordinamento giuridico vigente, è la forza probante fino a querela di falso. Vuol dire che la società, nel suo insieme, attribuisce fiducia, credibilità a quanto fa questo soggetto qualificato. Il ruolo del notaio è indispensabile per quel tipo di contratti tra privati che, secondo il codice civile italiano, prevedono l’uso del documento scritto, per esempio tutti quelli che prevedono transazioni di immobili. Questo tipo di documento, scritto dal notaio, è da considerarsi autentico “fino a querela di falso”: finché non si dimostra che il timbro e la firma del notaio non sono propri di quel notaio, il documento è capace di fare fede.
Considerazioni:
1. Carattere del tutto italiano del notariato. Il notariato nasce in Italia nel XII secolo. Solo un paio di secoli più tardi si diffonderà fuori dall’Italia (Francia, Germania, Boemia, Polonia, Ungheria), MA tuttora il profilo professionale è diverso rispetto a quello che si può trovare negli altri Paesi, e tuttora il notariato viene imparato in Italia.
> Fot. 45a: Charta di donazione con un bastoncino cucito alla pergamena (due fratelli donano a un monastero parte dell’eredità del terzo fratello). È un documento proveniente dalla Francia (Borgogna), del X secolo, in cui manca qualsiasi menzione o sottoscrizione dello scrittore; contemporaneamente, in Italia si stanno invece definendo i profili professionali degli scrittori di documenti.
2. Il ruolo e le funzioni del notaio attuale non differiscono molto da quelle che si sono definite dal XII secolo in poi: oltre a dare certezza ai negozi tra privati, egli deve custodire gli atti e rilasciarne copie.
STORIA del NOTARIATO
Punto di partenza: il TABELLIO o TABELLIONE tardo-antico, romano. Scrive documenti per conto di privati.
Punto d’arrivo: NOTARIUS del XII secolo. Non soltanto scrive documenti per conto di privati, ma attribuisce a questi docc. AUTENTICITÀ. Il termine ha la stessa radice del verbo latino AUGERE (= aumentare) e la stessa radice di AUCTORITAS.
> L’autenticità è l’imputabilità di un’opera al suo autore. Il doc. pubblico è considerato autentico perché emanante da una persona pubblica; il doc. privato è considerato autentico perché scritto da una persona (o figura professionale) che PER LEGGE attribuisce credibilità ai docc. che emana, dando loro la STESSA FORZA PROBANTE che può avere un doc. pubblico per il fatto stesso di emanare da persona pubblica.
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La storia del notariato è, dalla tarda antichità romana fino al XII secolo, una ricerca costante di modi per attribuire al doc. privato la credibilità e l’autenticità che ad esso sarà attribuita dal notaio con publica fides dal XII secolo; la stessa credibilità di cui godeva il doc. pubblico.
NB. Nell’antichità il problema dell’autenticità non era pacifico nemmeno per quanto riguarda il doc. pubblico. Si cercava di risolverlo con l’ARCHIVIAZIONE: il doc. pubblico è più credibile se conservato in un archivio pubblico (Ignazio, vescovo di Antiochia, II secolo: «Se non lo trovo negli archivi, io non mi fido nemmeno del Vangelo»). Anche per quanto riguarda la documentazione pubblica c’era uno sforzo di rafforzare dall’esterno il valore dei documenti.
I problemi maggiori riguardavano, ovviamente, i documenti privati.
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Nel mondo romano il contratto tra privati poteva non essere scritto. Quando era scritto, era vergato su polittici di tavolette cerate che venivano poi chiuse e sigillate dai testimoni. Questo documento, portato in tribunale, aveva forza di prova perché i testimoni venivano chiamati a verificare l’integrità dei sigilli, ad infrangerli e a confermare il contenuto del documento. Il documento non aveva forza di prova perché scritto; la prova regina era la prova testimoniale.
> La forma scritta dei contratti tra privati non era necessariamente la norma (ancora in età giustinianea la forma scritta era una delle opzioni). A partire dal II-III secolo, sicuramente per influenza del mondo greco, la scrittura dei contratti tra privati diventa un’opzione piuttosto forte: essa costituisce memoria sempiterna, è qualcosa di molto più durevole rispetto alla labile prova testimoniale. Da questo momento in poi la forma scritta dilaga e si diffonde.
Problema della forza probatoria di questo documento. Posto che la forma scritta è ormai diffusa nei contratti tra privati, ci si chiede come si può fare in modo che un contratto scritto, portato in tribunale, abbia forza di prova MAGGIORE rispetto a quella offerta dai testimoni. Per risolvere la questione si sono percorse diverse strade:
INSINUATIO APUD ACTA. Nel brano della Costituzione giustinianea De fide instrumentorum, (fot. 38), si parla di «Contractus […] donationum, quas intimari non est necessarium», con riferimento preciso proprio a questa pratica, che consiste nel far trascrivere (“insinuare”) i contratti tra privati nei registri pubblici (appartenenti a uffici centrali o periferici dell’Impero romano). Si trattava di una procedura estremamente complessa che non poteva essere seguita per ogni tipo di contratto: i contratti che preferibilmente venivano trascritti erano quelli di donazione, i più delicati. Il destinatario del documento si rivolgeva a un pubblico ufficiale chiedendo che il contratto venisse “insinuato” nei registri pubblici dove il pubblico ufficiale prestava servizio. Dopo che l’ufficiale aveva interrogato le parti, verificando la corrispondenza di quanto scritto con le volontà delle parti, il contratto veniva trascritto nei registri assieme all’intero verbale delle operazioni che si erano svolte. Alle parti veniva infine rilasciata una copia del verbale.
Esisteva quindi il contratto scritto MA non ci si sentiva totalmente tutelati e si cercava di attribuirgli una forza probante dall’esterno, trascrivendolo nei registri pubblici (NB. Non era una semplice trascrizione, ma il compimento di tutta una serie di operazioni lunghe e complesse).
Considerazioni:
1) Una volta che l’uso della forma scritta per i documenti tra privati si è diffuso, ci si pone il problema di quale efficacia il documento scritto possa avere se portato in tribunale. È un problema che non viene risolto: si continua, infatti, a dare una forte importanza al ruolo dei testimoni (ancora in età giustinianea). Si adottano degli accorgimenti, degli espedienti per attribuire a questo doc. scritto una forza di prova: uno di questi è l’Insinuatio apud acta.
2) Ruolo del tabellione. È l’antesignano del nostro notaio; è il tecnico che scrive contratti tra privati. È una figura via via emergente, una categoria professionale che assume sempre di più delle connotazioni corporative. I tabellioni si riuniscono in corporazioni con le loro scuole, il loro iter formativo, le loro tecniche, le loro scritture, le loro tariffe, le loro zone della città in cui tenevano bottega (a Ravenna i tabellioni si chiamano “forenses” perché avevano bottega nel Foro). Anche dopo l’invasione longobarda, rimane in Italia tutta una fascia romano-bizantina (Ravenna-Roma) che comprende i ducati costieri della Campania dove esistono corporazioni di tabellioni, i quali possono assumere anche nomi diversi (a Napoli: curiales) e adottare delle scritture corporative, di marcatura (certificano la provenienza del doc.).
In età tardo-antica, e in particolare nella legislazione giustinianea, come viene vista la figura del tabellione? C’è da parte del legislatore (e dell’imperatore) un tentativo di riconoscerla? Giustiniano, nel suo Corpus Iuris Civilis interviene alcune volte per parlare del tabellione:
1) De fide instrumentorum (fot. 38).
L’abbiamo letta per dimostrare che ancora in età giustinianea la forma scritta era solo una delle possibili opzioni per i contratti tra privati. Quello che deve fare il tabellione è indicato abbastanza compiutamente. Se si sceglie la forma scritta si hanno due opzioni:
a) Fare una scrittura privata: non basta la brutta copia, ma ci vuole la bella copia e la sottoscrizione delle parti;
b) Ricorrere al tabellione → bisogna che il tabellione apponga la sua completio (sottoscrizione con cui dichiara di aver compiuto tutte le operazioni necessarie alla posta in essere del documento) e che poi la consegni alle parti (et postremo partibus absoluta sint, r. 10).
Si deduce che la forma scritta è una delle possibili opzioni e che, all’interno dell’opzione “forma scritta di contratto tra privati” resta valida l’opzione di fare una “scrittura privata” (a). Si delinea, in età giustinianea e secondo il De fide instrumentorum, una sorta di GERARCHIA dei documenti:
· Al vertice: ACTA PUBLICA
· A metà strada: DOCUMENTI “INSINUATI” NEGLI ACTA (apud acta)
· Alla base: SCRITTURE PRIVATE e, allo stesso livello: DOCUMENTO TABELLIONALE.
2) NOVELLA 44. (Novella = costituzione giustinianea emanata dopo la promulgazione del Codex).
Oggetto: assenteismo dei tabellioni. Come al solito, il testo legislativo viene aperto dalla menzione di un caso:
- si era presentata in tribunale una donna analfabeta portando con sé un documento e chiedendo che venisse letto, al fine di controllare se ciò che c’era scritto corrispondeva esattamente alle sue volontà;
- il giudice manda a chiamare il tabellione che ha sottoscritto il documento;
bellil tabellione dichiara che la sottoscrizione non è sua. Era presente e ha accolto la volontà della donna, ma poi ha affidato la stesura del doc., compresa la sottoscrizione, a un suo collaboratore;
- viene chiamato il collaboratore, il quale dice che ha apposto la sottoscrizione, ma che il testo del documento è stato scritto da un’altra persona.
Il legislatore impone allora l’obbligo per i tabellioni di essere presenti, di ricevere la volontà delle parti e di sottoscrivere il doc. una volta verificata la corrispondenza tra quanto scritto e la volontà del richiedente. La scrittura può essere delegata ad altri, MA è necessario che il titolare della bottega sia sempre presente in ogni fase della redazione del doc. Se non ci si atterrà a questa disposizione, il tabellione perderà la titolarità della propria bottega.
3) NOVELLA 73.
Si tratta espressamente dell’efficacia probatoria del documento tabellionale. Si cerca di analizzare cosa succede quando un documento scritto viene portato in tribunale. Ne emerge un fatto straordinario: se il documento è portato in tribunale, è necessario che gli si affianchino altre prove. Esse sono:
· COMPARATIO LITTERARUM (confronto delle scritture, perizia calligrafica). Prassi sulla quale Giustiniano invita a procedere con cautela: nel corso della vita all’uomo capita di cambiare scrittura. C’è bisogno di ulteriori prove.
· I TESTIMONI. Sia che il doc. sia una scrittura privata, sia che sia scritto dal tabellione (in questo caso è necessario che egli sia presente in tribunale assieme ai testimoni). Continua ad essere più forte la prova testimoniale rispetto alla scrittura (VS ordinamenti attuali).
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Il documento tabellionale NON costituisce una prova più forte rispetto alla semplice SCRITTURA PRIVATA.
In quest’età romano-giustinianea, il tabellione è visto non come colui che dà certezza ai negozi tra privati (se avesse questo ruolo, il documento tabellionale avrebbe forza di prova maggiore rispetto alla scrittura privata), bensì come il GARANTE della CORRETTEZZA GIURIDICA del documento. Il tabellione è un tecnico con competenze giuridiche, una figura alla quale i privati scelgono di rivolgersi per i loro contratti, poiché si ritiene che egli ne garantisca la giuridicamente corretta formulazione. È un problema che si pone anche ai giorni nostri: se il testamento è olografo, in moltissimi casi risulta facilmente attaccabile perché ciò che il testatore ha scritto non è formulato correttamente e le volontà non appaiono chiare. Il notaio garantisce la corretta formulazione giuridica, rendendo il doc. difficilmente attaccabile.
È una figura importante per la visibilità sociale e il prestigio che ha assunto. Il legislatore se ne rende conto e cerca di esercitare sul tabellione e sul suo operato una forma di controllo: se è assente lo si priva dell’ufficio (Novella 44), se scrive un doc. lo deve sottoscrivere (De fide instrumentorum), se viene portato in tribunale un documento da lui scritto, deve andare in tribunale per confermare di averlo scritto (Novella 73). Non c’è, però, NESSUNA FORMA DI INVESTITURA; siamo ancora in una fase in cui l’autorità pubblica si rende conto dell’importanza sociale del tabellione e cerca di controllarlo, ma il tabellione resta un privato, è ancora solo un tecnico.
Donazione ravennate (fot. 15). Fa parte dei “papiri ravennati”, tutti databili tra V e VII secolo: unici doc. privati che noi possediamo per quella fascia di anni. È un documento di donazione in cui una delle parti coinvolte è di lingua greca (siamo in area bizantina). Osservazioni:
1) Si parla della prassi di INSINUATIO APUD ACTA: Allegandi etiam gestis (r. 9). Viene data licenza, con questa formula, di insinuare il documento nei gesta (o acta), nei registri pubblici. NB: è un documento di donazione.
2) Sottoscrizione del notaio: Ego Theodosius, vir honestus, tabellio urbis Romae, habens stationem in porticum de Subora – complevi et absolvi (rr. 59-63). Si autodefinisce tabellione della città Roma e dice dov’era sita la sua bottega (statio); usa la formula tipica dei docc. privati di area ravennate «complevi et absolvi». Sopra la sottoscrizione del tabellione ci sono le sottoscrizioni dei testimoni. Sotto c’è una NOTITIA TESTIUM: menzione sintetica di tutti i testimoni che hanno sottoscritto autonomamente sopra. Il termine notitia è usato anche per le scritture seriali.
Finora si è parlato del tabellionato in epoca giustinianea. Con la conquista longobarda (568), di diritto romano-giustinianeo rimane solamente la fascia da Ravenna a Roma; Italia settentrionale e Toscana sono in mano ai Longobardi. Cosa succede in questa zona d’Italia all’indomani della conquista longobarda? C’è un vuoto documentario che copre oltre un secolo e mezzo: i primi esempi di docc. del territorio longobardo (quelli editi del Codice diplomatico longobardo dello Schiaparelli) risalgono agli inizi dell’VIII sec. In questo territorio, dapprima longobardo e poi conquistato dai Franchi, attraverso quali modalità si continua questa ricerca che avrà come punto d’arrivo il notariato con publica fides?
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Le tipologie documentarie di docc. privati rappresentate nel territorio preso in considerazione sono la CHARTA e il BREVE.
Qual è il profilo professionale degli scrittori di questi documenti dell’VIII-IX secolo?
Si prenda in esame il Codice diplomatico longobardo (documenti che arrivano fino al 774, eventualmente poco oltre per quelli di datazione incerta). Analizzando le qualifiche con cui si presentano gli scrittori di documenti, troviamo per l’VIII e parte del IX secolo una grande quantità di qualifiche diverse che non fanno necessariamente riferimento a un profilo professionale, a delle competenze tecniche:
· sono ecclesiastici: presbyter, diaconus, archidiaconus, monacus, clericus;
· qualifiche ancora più generiche: nepos (nipote di Tizio), vir devotus;
· NOTARIUS. Scompare il termine romano tabellio (rimane nelle zone romano-bizantine). Più avanti nel tempo
(IX sec.) troviamo NOTARIUS REGIS o NOTARIUS REGIAE POTESTATIS.
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Sono persone improvvisate che, almeno in alcuni casi, non hanno una formazione professionale: non possiedono sicuramente le competenze tecniche e giuridiche dei tabellioni (si riunivano in corporazioni, avevano proprie scuole, ecc.). L’unico vantaggio che hanno rispetto alle altre persone è che sanno scrivere e conoscono, a forza di scriverle, le formule contrattuali (NON necessariamente conoscono il diritto in generale).
In età franca e carolingia non si arriva a NESSUNA FORMA DI INVESTITURA.
Quando leggiamo NOTARIUS REGIS o NOTARIUS REGIAE POTESTATIS si fa riferimento a quella volontà di controllo che l’autorità, il potere regio, cerca di avere su questi professionisti, per sottolineare che essi agiscono secondo la volontà del potere centrale. In età carolingia ci sono degli interventi di tipo legislativo.
· 803: CAPITULARE MISSORUM (“capitolare”: legge dei Carolingi articolata in capitoli). I messi dell’imperatore devono recarsi nelle varie località dell’Impero e nominare SCABINOS, ADVOCATOS (sono uomini di legge con conoscenze legislative, che potevano rappresentare gli interessi legali soprattutto di istituzioni ecclesiastiche, ad esempio, di un’abbazia) e NOTARIOS. Non c’è nessuna forma di investitura; è volontà di controllo.
· 832: CAPITOLARE di LOTARIO. Il notarius deve esercitare la propria attività entro i confini territoriali del proprio distretto. Se deve muoversi e lavorare in un altro distretto, deve chiedere la licenza al conte di quel distretto. Non c’è nessuna forma di investitura, ma solo una volontà di controllo da parte del potere centrale.
Nella metà del IX secolo, le qualifiche con le quali si sottoscrivono queste figure cominciano ad essere meno generiche. Cresce la volontà di definire meglio il profilo professionale di questi personaggi. Essi si autodefiniscono:
- IUDEX ET NOTARIUS. C’è una somma di competenze: il giudice (che, a differenza di un semplice scrittore di docc. per i privati, deve avere una formazione professionale solida) funge anche da scrittore di docc. privati.
- NOTARIUS SACRI PALATII. Definizione più tarda (X sec., con Ottone I), dove col termine “palazzo” non si intende il luogo fisico preciso (la corte spesso è itinerante), ma si fa riferimento alla formazione del notarius, che forse è CENTRALIZZATA, omologata. Ha avuto un iter formativo presso le sedi governative dove si addestrava una certa categoria di professionisti.
Quindi, ricapitolando:
- prima il notaio era uno che sapeva scrivere e conosceva le formule dei documenti;
- poi ha cominciato a fare riferimento a un quadro istituzionale (notarius regis);
- poi ha fatto riferimento a competenze giuridiche proprie del giudice (iudex et notarius);
- poi comincia a far riferimento ad una formazione centralizzata (notarius sacri palatii).
Nel corso dei secoli dalla dominazione longobarda in avanti c’è una maggiore definizione professionale di queste figure di scrittori di documenti: dall’VIII all’XI secolo si passa da qualifiche generiche e poco connotative a qualifiche più precise (in particolare, attorno al X-XI secolo, Notarius sacri palatii), ma nessuna di queste qualifiche che si vanno definendo fa riferimento a una qualche forma di investitura da parte del potere centrale. L’autorità, sia in età giustinianea che carolingia, cerca di controllare queste figure dalla forte visibilità sociale (capitolari dell’803 e dell’832), dando loro una certa formazione, ma non fa nulla di più. La delega di funzioni e di poteri si avrà soltanto a partire dal XII secolo.
Qual è il valore probatorio dei documenti scritti da queste figure in ambito processuale?
Il documento di questo periodo è la charta dispositiva, in cui documentazione e azione giuridica coincidono (non c’è azione giuridica se non c’è scrittura) per cui:
Qual è il valore probatorio della charta dispositiva in ambito processuale? (Si ricordi che un documento ha SEMPRE funzione probatoria, ma non sempre questa funzione è quella primaria).
In età giustinianea: bisognava necessariamente portare ulteriori prove. Il documento tabellionale era un pezzo di carta di per sé non sufficiente all’eventuale risoluzione della controversia.
Nel territorio del Sacro Romano Impero convivono popoli diversi, in massima parte di diritto germanico, ognuno col proprio bagaglio di leggi. La legislazione germanica (leggi longobarde, ad esempio) regolamenta approfonditamente la materia penale mentre parla pochissimo di contratti.
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Per quanto riguarda la materia penale, il processo nei popoli di tipo germanico è fatto da una serie di prove irrazionali: giuramenti (tuttora presenti) e soprattutto duelli (ordalia). L’esito del duello è il giudizio divino sulla controversia. Liutprando, in un editto, si rende conto che qualche volta qualcuno ha perso ingiustamente la causa col duello, ma dice che d’altra parte questa è la tradizione del popolo longobardico, e non può cambiare.
Se viene portata una charta dispositiva nel processo si aprono due scenari:
· SE la controparte la riconosce come valida non ci sono problemi (la accetta come accetta qualsiasi altro tipo di prova);
· SE invece la charta è accusata di falso, si ricorre al sistema più comune nei popoli di diritto germanico: la pugna.
Con Ottone I viene emanato, nel 967, il Capitulare Veronense de duello iudiciali (fot. 10). Riguarda le accuse di falsità mosse alla charta portata in processo. Si parla soprattutto di controversie relative a terreni.
> Cap. 1, p. 29: «Si de prediis contentio emerserit et utraque pars sive altera cartis seu scriptionibus praedium sibi vendicare voluerit, si ipse qui cartam falsam appellaverit, per pugnam declarare voluerit, ut ita decernatur. Sin aliter, secundum priora capitula determinetur edicimus» (= Se ci sarà una controversia su terreni e una parte, o anche entrambe, vorranno rivendicare a sé questo terreno con carte e scritture, se qualcuno dichiara false queste carte, a quel punto si va al duello, in modo che così si decida). L’unico modo per decidere la controversia, anche a fronte di docc. presentati, è il DUELLO.
Non essendo la charta dispositiva una prova forte, verrebbe da pensare che non si scrivessero molti documenti. Invece, col X-XI secolo, si ricorre sempre più frequentemente alla scrittura. Ciononostante non ci si sente ancora sufficientemente tutelati da queste chartae dispositive e, tra X e XI secolo, si adottano degli accorgimenti per rinforzare dall’esterno il valore e la forza della charta, per far acquisire al doc. di contratto tra privati una forza probante. Uno tra questi è la:
Procedura della OSTENSIO CHARTAE. Chi ha interesse a sentirsi ulteriormente tutelato nei propri diritti attestati dalla charta (una delle due parti o entrambe), la porta in tribunale e si fa un “processo fittizio”, in cui il giudice chiede se ci sia qualcuno che considera la charta falsa. Se nessuno interviene (nessuno interviene mai: è un procedimento fittizio, e in tribunale ci sono solo il giudice e colui che ha portato la charta) si fa una NOTITIA IUDICATI (la stessa che si farebbe per un processo normale = documento in cui è ricopiato il testo di una charta dispositiva) in cui la questione processuale dibattuta è quella dell’ostensio chartae. Il destinatario di quella charta dispositiva (colui che l’ha portata in tribunale), per tutelare i suoi diritti, ha un documento in più: la notitia iudicati. NB: questa procedura non è un modo per conferire autenticità alla charta dispositiva: essa è una charta dispositiva e, portata in tribunale, rimane comunque una charta dispositiva. In un processo, se si accusa una charta di falso, si può presentare anche la notitia iudicati in cui c’è scritto che nessuno aveva mai detto che quella charta era falsa. Per sentirsi maggiormente tutelata nei propri diritti, la gente cerca di acquisire documenti scritti in più.
XII SECOLO. Improvvisa accelerazione del fenomeno dell’inurbamento, condizione e spinta motrice per importanti modificazioni nell’organizzazione sociale, politica ed ecclesiale di quel periodo di grande rinascita, di notevoli trasformazioni: incremento demografico, disboscamenti e bonifiche, i contadini non sono più servi della gleba ma coloni, i proprietari terrieri si inseriscono in una nuova economia che ruota attorno alla città, nasce la borghesia, si definiscono categorie professionali come quelle dei mercanti e degli artigiani. Sul piano culturale è il secolo del sic et non, della non accettazione di ciò che non può essere sottoposto al vaglio della ragione; è il secolo che porterà alla nascita delle università. È il secolo del RINASCIMENTO GIURIDICO, visto sotto due prospettive strettamente correlate:
1. Generale recupero normativo.
Cominciano, già sul finire del X secolo, ad essere elaborate e messe vicino, soprattutto a Pavia, delle compilazioni normative, in cui vengono coperti tutti gli ambiti:
· CARTULARIUM LANGOBARDICUM (fine X sec.). Codifica delle forme contrattuali tra privati. È un’assoluta novità: le leggi esistenti fino a quel momento avevano detto poco in materia contrattuale, tant’è che la charta era diventata dispositiva per sopperire a un vuoto legislativo (ambito del diritto privato).
· LIBER PAPIENSIS (XI-XII sec.). Sorta di raccolta e risistemazione legislativa (simile a quello che aveva fatto Giustiniano col Codex) di leggi, editti e capitolari (ambito politico-amministrativo). Con:
- EXPOSITIO AD LIBRUM PAPIENSEM: spiegazione e interpretazione ufficiale del Liber Papiensis;
- FORMULAE AD LIBRUM PAPIENSEM: compilazione normativa in cui si parla di materia processuale.
2. Recupero e riemersione del diritto romano-giustinianeo.
Il Corpus Iuris Civilis era una compilazione troppo mastodontica e se ne erano completamente perse le tracce nel periodo alto-medievale, era stato dimenticato. Inizialmente il recupero è saltuario, occasionale, legato alla presenza di singole personalità intellettuali importanti. Si prendano in esame i seguenti due esempi. In entrambi i casi ci troviamo nei cosiddetti tribunali “canossiani”, all’interno dei quali ricorrono nomi dall’alto profilo intellettuale.
· MARTULI, 1076. Placito. (fot. 49). Siamo in Toscana (il «burgus Martuli» è l’attuale Poggibonsi). Nel placito tenuto da Nordillo, messo di Beatrice (madre di Matilde di Canossa) si decide la controversia che vede da una parte il monastero di San Michele, situato nel castello di Martuli, rivendicante a sé alcune terre che riteneva gli fossero state date dal marchese fiorentino Ugo, dall’altra Sigizone, erede del marchese, che le considera proprie.
- «His peractis, supradictus Nòrdillus, […] lege Disgestorum libris inserta considerata – de terris et rebus illis» (rr. 28 e sgg., pp. 334-5). Le due parti presentano le loro istanze e il giudice Nordillo risolve la questione ricorrendo ai libri di diritto romano-giustinianeo: consulta il Digesto, la compilazione più complessa del Corpus Iuris Civilis, quella di cui si erano perse maggiormente le tracce. Eppure, questa controversia viene risolta consultando la legge romano-giustinianea, non col duello.
· GARFAGNOLO, 1098 (fot. 50). Siamo nell’attuale Emilia-Romagna. Non ci è stato conservato il placito del processo. Il documento è una notitia nella quale un ignoto scrittore, probabilmente per incarico dell’abate del monastero di S. Prospero di Reggio, mise per iscritto le fasi della lite vertente tra il detto monastero e gli “uomini delle Valli”. È una controversia dello stesso tipo di quella di Martuli del 1076.
- «Quapropter – ad pugnam» (r. 11, p. 433): Matilde convoca i giudici Bono e Ubaldo per decidere se le parti sono pronte al duello.
- «Partibus congregatis – continetur» (r. 13): l’abate interviene portando dei diplomi di Carlo e Ottone (precepta regum) dove si diceva che i beni in questione appartenevano alla Chiesa.
- «Causidici – in Iustiniano codice et institutionibus» (r. 17): oltre ai documenti emessi dagli imperatori in favore del monastero, gli avvocati portano la legge giustinianea: chi ha ricevuto qualcosa dall’imperatore (ab augustali domo), la deve conservare, deve considerarsi tranquillo sotto questo punto di vista. Vengono qui fuori il Codex e le Institutiones.
- I giudici però respingono tutto: non si farà altro se non il duello! Si ripiomba nel Medioevo.
- Scoppia una rissa che si risolve in un nulla di fatto. I giudici non sono in grado di determinare chi ha vinto il duello e quindi la causa.
In questo clima di graduale recupero normativo c’è una riemersione occasionale, non sistematica, del diritto romano-giustinianeo. Abbiamo visto questi due esempi, ma altri se ne trovano anche in area ravennate, dove si trovano delle citazioni letterali del Corpus Iuris Civilis, il che ci fa pensare che effettivamente ci sia un recupero dei testi, e che non si vada soltanto a memoria, o sulla base di vecchi formulari.
SE fino a questo momento il contratto scritto poteva essere soltanto la charta dispositiva, che inglobava il diritto perché un quadro normativo di riferimento non c’era (vuoto legislativo), ORA la cornice normativa entro cui svolgere i contratti tra privati c’è. Quindi il documento scritto di contratto tra privati può ora recuperare il suo pieno profilo probatorio e la sua esclusiva funzione probativa: torna ad essere semplicemente la prova scritta di un’azione giuridica che si è svolta indipendentemente e all’interno di un quadro normativo chiaro e definito. Tant’è che, gradualmente, scompare il termine di charta, sostituito da quello romano-giustinianeo di INSTRUMENTUM. È un termine che porta in sé valenza probativa del documento (= quello che serve all’ISTRUTTORIA di un processo). Il documento recupera un suo profilo più netto. Non è testimonianza del diritto, è solo testimonianza dell’azione giuridica e, proprio per questo, è scritto in forma oggettiva e narrativa (al passato).
Resta aperto il problema della FIDES del documento, ovvero della capacità del documento di far fede di per sé, di essere la prova più forte. Questo problema Giustiniano non l’aveva risolto; tanto meno era stato risolto in epoca alto-medievale e nel territorio del SRI. Bisognava imporre al documento la fides dall’esterno (prove testimoniali).
Viene risolto ORA. Si riesce a trovare il modo per cui la fides non sia imposta dall’esterno MA sia contenuta nel documento stesso. Cos’è in grado di attribuire al documento questa fides? Ci vuole un testimone che sia più forte dei testimoni presenti all’azione giuridica → È il NOTAIO che ha scritto il documento! MA non basta ancora. Sino a questo momento il notaio è ancora un tecnico, perché dovrebbe essere più credibile di altri?
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Passaggio definitivo: la pubblica autorità DELEGHERÀ allo scrittore di documenti tra privati parte delle sue funzioni, in particolare la capacità di attribuire ai documenti la PUBLICA FIDES, la stessa che la pubblica autorità attribuisce automaticamente ai documenti che emana. Il documento notarile, l’instrumentum, viene considerato pertanto INSTRUMENTUM PUBLICUM perché dotato di publica fides attribuitagli dal notaio che l’ha scritto, in quanto egli ha ricevuto la publica fides per delega dalla pubblica autorità. La formula che si stabilizzerà (non subito) nella sottoscrizione del notaio sarà: «Ego N. imperiali/apostolica auctoritate notarius etc.» (= Io, N., notaio per autorità imperiale/apostolica). Apostolica in Italia centrale, nei territori di dominio temporale del Papa.
DOV’È NATO IL NOTARIATO?
È un fenomeno tutto italiano. Ancora nel XIII-XIV secolo, mentre in Italia il documento privato è il documento notarile, in Germania, il documento privato ha bisogno del sigillo del vescovo.
In che zona è emerso prima?
La tradizione di studi vede la culla del notariato in Bologna (centro universitario d’eccellenza, vi nascerà lo Studium). Secondo la Nicolaj sembra esserci a Bologna più pragmatismo, più una capacità di mettere in pratica e potenziare certe prassi, piuttosto che idearle. Gli ideologi del notariato vanno ricercati altrove: tra la Toscana e l’Emilia-Romagna.
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Qui, nel territorio matildino, si muovono i giudici dei tribunali “canossiani”, intellettuali importanti, persone con una cultura giuridica approfondita. Ci sono dei nomi che ricorrono frequentemente nei placiti di Matilde, uno fra tutti PEPO (o PEPONE). Sembra essere sempre presente nelle occasioni più importanti (anche a Martuli, 1076, fot. 49), è però figura sfuggente, non si capisce bene chi sia. La Nicolaj avanza l’ipotesi che egli possa trattarsi del notaio Pietro (sono negli stessi posti negli stessi anni, Pepone è diminutivo di Pietro): è un notaio di Arezzo, uno dei centri più significativi. In un documento aretino, la sua sottoscrizione è: «Ego Petrus notarii functus officio» (= Io Pietro, che ho svolto la funzione di notaio). Officium non è una funzione generica, significa carica pubblica! È sintomo della coscienza che si comincia ad avere (ad Arezzo, e non a Bologna) del ruolo e della funzione pubblica del notaio.
Documento di un notaio aretino (fot. 51). Siamo agli inizi del XII secolo, sempre ad Arezzo, pochi anni dopo il documento sottoscritto dal notaio Petrus. La sottoscrizione di questo notaio è: «Ego Saracenus iudex, huic etiam officio ab imperatore delegatus scripsi et complevi» (= delegato dall’imperatore anche a questa carica pubblica, officium). Il notaio (giudice) agisce già per delega imperiale avendo coscienza del proprio ruolo pubblico.
Conclusione. I centri più avanzati nell’elaborazione dei passaggi attraverso i quali si arriva al notariato con publica fides sono da trovare in Toscana, ad Arezzo.
A Bologna cosa si fa?
· Si recupera il lessico del diritto romano-giustinianeo: la permuta, che per tutto l’alto-medioevo era chiamata permutatio, comincia ora ad essere chiamata commutatio (latino più classico, romano-giustinianeo).
· Qui si diffonde il fenomeno delle NOTIZIE DORSALI: appunti che il notaio prende sul retro della pergamena su cui scriverà il documento con gli estremi essenziali dell’azione giuridica. In questo periodo esse acquisiscono un ruolo diverso, diventando “documenti in potenza”: prendendo spunto da essi, un documento potrà essere scritto anche a distanza di tempo, anche da un altro notaio. Si vengono definendo anche tutte le potenzialità del notaio; è il primo passaggio verso il momento in cui le minute notarili saranno l’originale del documento, e il mundum lasciato alle parti sarà soltanto una copia.
· Metà XII secolo. Viene modificata la formula del documento di ENFITEUSI: tipo di contratto di godimento a lungo termine, pluridecennale o perpetuo, di un terreno, in cui chi lo prende ha l’obbligo di coltivarlo, pagare un censo al concedente e di apportare delle migliorie (bonifiche, potature, ecc.). Egli può riscattarlo pagandolo 15 volte il canone annuo dovuto. Questo istituto dell’enfiteusi era stato creato per evitare il depauperamento delle proprietà terriere degli enti ecclesiastici: avevano un grosso patrimonio costituito da proprietà terriere, avevano la necessità di avere delle entrate sulla base di esso, ma non si voleva che le alienassero definitivamente. Con l’enfiteusi la proprietà resta dell’ente ecclesiastico, mentre il terreno viene dato in concessione.
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470, LEX IUBEMUS. Legge giustinianea (compresa nel Codex) che stabilisce l’istituto dell’enfiteusi.
Il testo del documento di enfiteusi era introdotto dalla formula: «Peto a te …» (= io chiedo a te, proprietario terriero, il seguente terreno). L’autore giuridico è il concessionario, mentre il destinatario è il proprietario terriero.
1116, Bologna. Il contratto di enfiteusi viene ribaltato. La formula diventa: «Petitionibus emphyteuticariis annuendo» (= venendo incontro, accogliendo la richiesta di enfiteusi ecc.). L’autore giuridico è il concedente, il destinatario è il concessionario. C’è stato un ribaltamento di ruoli. In questa modifica si attribuisce più tutela al richiedente e più vincoli al concedente. Il rapporto è meno improntato sulla servitù della gleba e più equilibrato, meno sbilanciato a vantaggio del proprietario terriero.
Questa modifica sarà poi definitiva (v. fot. 52: documento del 1171).
La modifica fu opera di due notai, Angelo e Bonaldo, che lavoravano a stretto contatto con Irnerio, fondatore dello Studium bolognese. A Irnerio si attribuisce uno specifico commento sulla Lex iubemus, nella quale si parla sia di enfiteusi, ma anche della possibile condanna di tutti coloro che avessero redatto documenti di alienazione di beni religiosi (l’enfiteusi nasce per evitare la loro alienazione). Potevano redigere questi documenti, secondo la Lex Iubemus: TABELLIONES, IUDICES e di VEL IUS GESTORUM HABENTES (= funzionari pubblici, coloro che hanno titolarità dei gesta, dei registri pubblici, in cui i documenti potevano essere insinuati). Irnerio riflette in generale sulla legge di enfiteusi, nella quale vengono inseriti in un’unica categoria 3 ruoli: i tabellioni vengono affiancati ai due funzionari pubblici (iudices e vel ius gestorum habentes). A Irnerio è attribuito anche un FORMULARIO, che però non ci è pervenuto, basato sulla teoria dei 4 strumenti fondamentali.