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  • INTRODUZIONE


    Il carcinoma del collo CC dell’utero rappresenta ancora oggi una patologia assai rilevante dal punto di vista sanitario e sociale; infatti vengono diagnosticati ogni anno nel mondo circa 569.847 nuovi casi e di questi l'85% nei paesi in via di sviluppo , dove rappresenta quasi il 12% di tutti i tumori femminili (GLOBOCAN 201) . 

    I dati dei registri nazionali tumori mostrano che, in Italia, l’incidenza e la mortalità del tumore della cervice dal 1980 al 2018 sono in continua riduzione. Nel 2018 sono stimati 2.400 nuovi casi (pari all’ 1,3% di tutti i tumori incidenti nelle donne). Questa neoplasia è più frequente nella fascia giovanile (4% dei casi, quinta neoplasia più frequente) mentre dopo i 50 anni rappresenta complessivamente l’1% dei tumori femminili. (AIRTUM, I numeri del cancro in Italia 2018).

    Il fattore eziologico di questa neoplasia è  rappresentato quasi esclusivamente da un pool di ceppi ad alto rischio del Papilloma virus umano HPV . La cancerogenesi è di lunga durata e il carcinoma rappresenta la fase evolutiva finale di una serie di lesioni a rischio progressivamente più alto, che particolarmente nelle fasi iniziali possono peraltro regredire spontaneamente. La lunga fase preclinica della malattia e la possibilità di asportare le lesioni precancerose che ne caratterizzano la progressione costituiscono i punti di forza dei programmi di screening.  

    La diagnosi precoce con l'utilizzo del Pap-Test rappresenta l’arma più efficace nella prevenzione del carcinoma della cervice uterina. In Italia la diffusione del Pap-test a livello spontaneo, a partire dagli anni ’60 e, soprattutto, l’avvio dei programmi di screening organizzato hanno rappresentato i principali fattori di riduzione dell’incidenza e ancor più della mortalità per questa neoplasia. I programmi di screening regionali hanno invitato nel 2015 il 76% delle donne in età 25-64 anni.  Il Piano Nazionale Prevenzione 2014-2018 ha dato indicazione a tutte le Regioni di introdurre il test molecolare HPV in sostituzione del Pap-Test come test di primo livello nello screening cervicale entro il 2018 perchè molto più sensibile e automatizzabile. Il test molecolare ricerca sequenze di DNA dei virus HPV ad alto rischio oncogeno. Esiste ormai una chiara evidenza scientifica che uno screening primario con test clinicamente validati per il DNA di HPV oncogeni e con un protocollo appropriato è più efficace dello screening basato sul Pap-Test nel prevenire i tumori invasivi del collo dell’utero La grande maggioranza delle Regioni si sta organizzando, compresa il Friuli Venezia Giulia, nel sostituire il Pap-Test con il test molecolare HPV . 

    Bisogna tenere presente che l'introduzione del test molecolare richiede una fase preparatoria di riorganizzazione a livello regionale e che successivamente il passaggio non è immediato per tutte le donne di un’area ma diluito su 3-4 anni al fine di evitare sbalzi dell’attività dovuti al cambio di periodismo (da 3 a 5 anni). 

    L’adesione si mantiene intorno al 50%, lievemente superiore a quella generale all’invito allo screening. Tale dato deriva comunque anche dal fatto che la conversione non è avvenuta in Regioni dove l’adesione era più bassa.

    La proporzione di donne positive al test è in aumento al Nord ed al Centro, si mantiene stabile al Sud, con una media italiana di circa l’8%.

    I PROGRAMMI DI SCREENING

    I programmi di screening possono essere attuati attraverso:

    ·       Prevenzione primaria-vaccinazione

    ·       Prevenzione secondaria-Pap test, Citologia su strato sottile e HPV test

    La prevenzione primaria prevede interventi atti a mutare abitudini sociali, a migliorare lo stato sanitario e culturale delle donne unitamente all’impiego di tutte le misure idonee ad evitare o ridurre l’infezione mediante estesi programmi di vaccinazione.

     La vaccinazione ha come obiettivo direttamente l’agente eziologico che causa sia le lesioni pretumorali che il CC, per questo motivo si sono sviluppate intense ricerche per produrre vaccini profilattici contro specifici ceppi di HPV (HARPERT LANCET 2004).

    In Italia, a partire dall'anno 2007,  è stata pianificata una strategia di vaccinazione pubblica contro l’ HPV  per tutte le ragazze al compimento del dodicesimo anno d’ età in quanto il meccanismo di azione del vaccino è legato alla neutralizzazione del virus quando è ancora libero in vagina, e per questo è inefficace nelle donne che sono già state infettate (EPICENTRO).

    Il vaccino non sostituirà lo screening, ma questo dovrà essere modificato. Il vaccino inoltre offrirà l’ opportunità di raggiungere più facilmente fasce della popolazione restie a partecipare e fidelizzarsi a un programma di screening e anche questo è un elemento importante perché la maggior parte dei CC si verifica in donne che non si sottopongono a Pap test.


    La prevenzione secondaria comprende il Pap test, la Citologia in fase liquida o su strato sottile(LBC)  e la ricerca del virus  HPV (HPV tests)

    Gli obiettivi della prevenzione secondaria richiedono invece misure clinico-terapeutiche volte ad attuare:

    ·       la diagnosi della malattia nelle sue fasi precoci

    ·       una maggiore efficacia degli interventi terapeutici

     

    Il Pap test è il primo test di screening per il cancro al collo dell’ utero più comunemente conosciuto come striscio vaginale ampiamente utilizzato per più di 60 anni e mantenuto praticamente inalterato fino ad oggi . Il Pap test si effettua nel corso di una normale visita ginecologica, durante la quale si applica lo speculum, uno speciale strumento che dilata leggermente l'apertura vaginale in modo da favorire il prelievo. L'operatore inserisce poi delicatamente una speciale spatola (spatola di Ayre) e uno spazzolino (Cytobrush) per raccogliere piccole quantità di cellule rispettivamente dal collo dell'utero e dal canale cervicale. Le cellule esfoliate e prelevate vengono strisciate su un vetrino, fissate e colorate con la colorazione di Papanicolaou .

    I motivi che hanno permesso il sempre maggior successo di questa metodica sono essenzialmente :

           La scoperta nel 1975 che alcune modificazioni morfologiche cellulari (coilocitosi) erano legate alla presenza di un’ infezione virale da HPV.

    ·       Il consenso ottenuto nel 1988 e nel 2001 su un sistema di refertazione in grado di rendere più omogenea e riproducibile l’interpretazione citologica e stabilire un univoco percorso di approfondimento diagnostico .

    Attualmente il sistema maggiormente utilizzato per la refertazione citologica è il sistema Bethesda 2001.


    La citologia in fase liquida è stato introdotta a metà degli anni Novanta e permette di ottenere un preparato di alta qualità in monostrato (strato sottile) senza interferenze, cioè un preparato libero da sangue e muco e da strati di materiale sovrapposto con pochi elementi infiammatori che talvolta ostacolano una corretta interpretazione offrendo una sensibilità maggiore rispetto al Pap test convenzionale, una minor percentuale di inadeguati e  una maggiore riproducibilità interpretativa tra operatori

    Sono state utilizzate numerose e differenti tecniche di citologia in fase liquida: fra queste, ThinPrep® e Surepath® hanno ricevuto l’approvazione Food and Drug Administration (FDA) e risultano ampiamente le metodiche più utilizzate. Il test è molto semplice e richiede il prelievo con uno spazzolino di un campione di cellule del collo dell’utero esattamente nello stesso modo del Pap test, lo strumento poi viene agitato in un barattolino contenente una sostanza conservante. L’allestimento del vetrino avviene in maniera automatica utilizzando uno strumento con il quale le cellule in sospensione vengono raccolte tramite aspirazione o sedimentazione  sulla superficie di una membrana e poi trasferite su vetrino.

    L’introduzione della citologia in fase liquida ha inoltre il vantaggio di consentire l’ applicazione di metodiche molecolari per la ricerca del virus HPV e di marcatori di progressione con tecniche di immunocitochimica sullo stesso campione. In questa prospettiva, grande attenzione nella scelta del sistema per la citologia in fase liquida deve essere posta alle caratteristiche del liquido conservante, che deve essere in grado di mantenere la stabilità del DNA a temperatura ambiente per un minimo di 30 giorni e permettere valutazioni su RNA.

    Il Test HPV I progressi delle tecniche diagnostiche, in particolare la messa a punto di test genetici molecolari di facile impiego, stanno sostituendo l’utilizzo del consolidato Pap test come strumento di screening.  Il Test HPV si esegue sempre su un piccolo campione di cellule prelevate dal collo dell’utero, come il Pap test , però non è un esame morfologico ma un esame di biologia molecolare che permette di rilevare la presenza del virus HPV mediante l’individuazione del suo DNA  o RNA messaggero. I risultati di numerosi studi sperimentali dimostrano una maggiore sensibilità del test rispetto al tradizionale Pap test a scapito però di una minore specificità dovuto a due fattori principali :

    ·       Il test HPV si basa sulla ricerca di 12-14 tipi di virus che hanno un maggiore potenziale oncogeno

    ·       Il test HPV non discrimina tra infezioni transitorie e infezioni persistenti e produttive

    I test molecolari più utilizzati si basano sulla ricerca di sequenze virali di HPV e tipizzazione dei genotipi utilizzando tecniche di biologia molecolare, quali l’ibridazione diretta, la PCR qualitativa e il sequenziamento nucleotidico virale.

    L’ibridazione diretta o Hybrid Capture è un metodo non radioattivo, accurato e riproducibile con una sensibilità ben convalidata, ed è l’unico approvato dalla FDA. È un test di ibridazione molecolare in fase liquida e cattura su micropiastra delle cellule di sfaldamento della cervice uterina. Il test è capace di determinare concentrazioni molto basse di DNA e può essere utilizzato per determinare sia gli HPV a basso rischio (6, 11, 42, 43, 44) che gli HPV ad alto ed intermedio rischio oncogeno (16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, e 58). Non individua tuttavia il singolo tipo virale né la carica virale esatta che è calcolata in modo semiquantitativo tramite un gradiente di intensità di chemioluminescenza.

    Il metodo consiste nella denaturazione del DNA in singolo filamento che viene ibridato in soluzione con probes mix a RNA: un probe evidenzia i tipi a basso rischio ed un altro evidenzia i virus ad alto rischio oncogeno. Ciascuna miscela di reazione, contenente gli ibridi RNA/DNA formatisi, viene trasferita in una provetta alle cui pareti sono adesi anticorpi policlonali rivolti contro gli ibridi RNA/DNA.

    Gli ibridi legati vengono quindi fatti reagire con un anticorpo, diretto contro gli ibridi RNA/DNA, coniugato con fosfatasi alcalina. Il materiale non legato viene rimosso mediante lavaggi e quindi viene aggiunto substrato chemioluminescente che si lega alla fosfatasi alcalina. La luce prodotta dalla reazione viene misurata mediante un lumenometro in unità di luce relativa (RLUs).

    La PCR real time Questa tecnica è un’implementazione della PCR classica e  permette di avere informazioni quantitative più precise sulle concentrazioni relative al DNA amplificato. Per la PCR qualsiasi sequenza di acido nucleico, presente in un campione, può essere amplificata mediante un processo ciclico per generare un gran numero di copie identiche che possono essere successivamente analizzate. La reazione di PCR è caratterizzata da una serie di cicli a diverse temperature che permettono la denaturazione delle molecole di DNA target, l’ibridazione dei primers specifici e l’allungamento della catena ad opera della Taq polimerasi. Ogni ciclo si compone di tre tappe e può essere ripetuto 20-40 volte. Il modo più facile per identificare un prodotto di PCR è quello di monitorare di continuo l’andamento della reazione, senza dover interrompere la reazione per poterla visualizzare su gel. La real-time implica che la collezione dei dati e l’analisi avvenga contemporaneamente al procedere della reazione.

    Il sequenziamento nucleotidico permette di ottenere la sequenza nucleotidica di una molecola di acido nucleico letti nel corretto ordine, definendo il tipo di HPV presente.

    La tecnica più utilizzata, negli ultimi anni, è il pirosequenziamento. Questa tecnica permette il sequenziamento del DNA tramite sintesi. Il sistema di rilevamento è basato sul pirofosfato rilasciato quando un nucleotide è introdotto nel filamento di DNA, così il segnale può essere quantitativamente connesso al numero di basi aggiunte e rilevato in un pirogramma. Il genoma dei diversi tipi di virus HPV è diverso e quindi genera diversi tipi di pirogrammi la cui lettura consente di individuare l’esatto tipo di virus. Questa metodica non è di facile utilizzo non è automatizzabile ed è molto costosa